Recensione Emilia l’elefante
Chi è Arto Tapio Paasilinna?
Arto Tapio Paasilinna, (Kittilä, 20 aprile 1942 – Espoo, 15 ottobre 2018) è stato uno scrittore finlandese, con un passato da giornalista, poeta e guardaboschi. Vincitore del Premio letterario Giuseppe Acerbi nel 1994. I libri di Paasilinna generalmente riflettono la vita comune finlandese, con uno stile impregnato di forte humour. Nelle sue opere traspare anche la difesa dell’ambiente e della vita naturale.
Tra i suoi romanzi di maggior successo figura L’anno della lepre, per il quale ha ricevuto nel 1994 in Italia il premio letterario Giuseppe Acerbi, e dal quale sono stati prodotti due film. È stato uno degli scrittori finlandesi più conosciuti all’estero, dal momento che parte della sua produzione è stata tradotta in 45 lingue. In Italia è pubblicato fin dal 1994 dalla casa editrice Iperborea con le introduzioni di Fabrizio Carbone.
Qual è la trama del libro Emilia l’elefante?
Se nel picaresco universo di Paasilinna gli animali selvatici sono i paladini di quella libertà irriverente che dà gusto alla vita, è l’elefante Emilia a essere stavolta catapultata nel selvaggio Nord. Corre l’anno 1986 quando al Circo Finlandia, a Kerava, nasce una stella, che a sei mesi sventola già fiera con la proboscide la bandierina finlandese e in pochi anni conquista il Circo di Mosca e parte in tournée sulla Transiberiana, allietando i passeggeri con la danza dei cosacchi. Ma l’Unione Sovietica è ormai al collasso, il circo al tramonto, e l’Europa si mette pure a vietare ogni esibizione di animali esotici, per quanto dotati di ben più talento di tanti umani commedianti.
All’intrepida padroncina Lucia Lucander non resta che salire in groppa alla pachidermica compagna di mille ribalte e lanciarsi nel circo del mondo per riportare Emilia tra i suoi simili. Comincia così la loro acrobatica odissea dalle piane del Satakunta alle foreste del Pirkanmaa, dalla regione dei laghi alla Carelia e poi alla volta del Sudafrica, in fuga da eco-complottisti e macellai megalomani, con l’aiuto di un pompiere, un gestore di minimarket e un latifondista in pene d’amore, sotto la benedizione di un prete maniaco-suicida e di un industriale fallito intento a costruirsi un sommergibile per farne un museo sottomarino.
La fantasia e il naturismo politicamente scorretto di Paasilinna si scatenano nelle più esilaranti avventure in questo barocco safari afro-finnico, che con il paradosso mette in scena la commedia umana, nella spensierata consapevolezza che se il mondo è pazzo, tanto vale fare di necessità risorsa e godersi a fondo le proprie follie.
Di cosa parla il libro Emilia l’elefante?
Ci fu un tempo in cui tutto ebbe inizio… Ricordo ancora il titolo: “Il mugnaio urlante”. Fu allora che mi innamorai dei romanzi di Arto Paasilinna e, come tutti i grandi amori, è stato un cammino costellato di forti passioni e cocenti delusioni.
Avevo già capito da tempo che Paasilinna non è empatico nei confronti degli animali. Ricordo ancora la brutta fine del corvo e dell’orso ne “L’anno della lepre”. Neppure il pensiero dell’uomo che sopravvive nella natura selvaggia mi fa dimenticare quel becco incastrato nella latta acuminata o l’inseguimento senza sosta per uccidere il maestoso plantigrado. La lepre sopravvive, ma essa è un simbolo, una metafora. Anche il mugnaio e il postino – protagonisti de “Il mugnaio urlante” – che si trasformano in cani selvaggi, non sono altro che metamorfosi di concetti più profondi come la libertà individuale e la fuga da una società costrittiva e ingiusta.
Paasilinna non è empatico, ma molto, molto ironico.
Ho letto molti dei suoi romanzi, a volte rimanendo incantata, altre volte rimanendo fredda e con la sensazione di aver sprecato denaro. È una sensazione che passa in fretta, perché comprare un libro non è mai denaro buttato, ma a volte si preferirebbe poter cambiare titolo e riprovare.
Con questo sentimento, ho concluso la lettura di “Emilia l’elefante” – Iperborea, febbraio 2018 – che, purtroppo, devo annoverare tra i romanzi meno riusciti dello scrittore finlandese Arto Paasilinna.
La trama del libro sembra un pretesto per criticare e descrivere varie vicende accadute dalla fine degli anni ottanta in poi. Tuttavia, il romanzo inizia subito male con la critica alla legge del 1986 che proibiva l’esibizione degli animali selvatici nei circhi di tutta la Finlandia. Questa legge auspicabile, in ogni paese, viene descritta nella trama come un impedimento alla dignità degli artisti. Peccato che questi “artisti” siano, in realtà, poveri animali sfruttati e che non ricevono alcun compenso per le proprie esibizioni. Su questo registro si snodano le vicende di Lucia Lucander, che accompagna Emilia, l’elefantina, in un viaggio rocambolesco e bizzarro dalla Finlandia alla Russia, per poi arrivare finalmente in Africa, dove la nostra beniamina diventa nientepopodimenoche il capobranco di un piccolo gruppo di elefanti.
Potremmo parlare di un lieto fine in questa storia condita da roboanti nomi finlandesi, polacchi e russi, dove ogni personaggio ha un ruolo strano e un mestiere ancora più strano, esercitato in maniera smodata e grottesca. Lo stile ironico di Paasilinna qui si appesantisce, deviando dal suo sottile umorismo e diventando pesante, come un elefante in una cristalleria.
Nonostante sia noto il suo amore per ripetere costantemente i nomi e i cognomi dei personaggi, alla fine ci si stanca della simpatica e vispa Lucia Lucander, alias Sanna Tarkiainen, Paavo Satoveräjä e Seppo Sorjonen, nomi ripetuti fino alla nausea.
Emilia, l’elefantina protagonista del romanzo, utilizza astutamente esercizi raffinati e impara persino a ballare l’hopak, la danza tradizionale dei cosacchi, per attirare il grande pubblico. Questo escamotage letterario, già utilizzato da Paasilinna ne “Il migliore amico dell’orso”, consiste nel far esibire un animale notoriamente goffo in numeri delicati di precisione o di agilità.
Nel suo viaggio attraverso luoghi più o meno esotici, Emilia incontra una varia umanità, tutti esperti in una cosa: sopravvivere a ogni costo. In questo contesto, i personaggi che circondano l’elefante hanno in comune uno spiccato istinto di conservazione e sopravvivenza. Tuttavia, non tutti i personaggi condividono questa mentalità. Gli animalisti, i “verdi”, vengono alla berlina per il loro fallimento pasticcione e inutile nel cercare di liberare l’elefante. Non riusciranno nel loro intento e l’animale, inferocito, distruggerà un pullman. Questa è una critica esplicita contro gli animalisti presenti nel romanzo.
Per Paasilinna, gli ideali muoiono presto e l’unica vera ragione di esistere è il riuscire ad “arrabattarsi”, ottenere qualche soldo dai passanti attraverso vari espedienti e cavalcare l’onda del cambiamento che spazza via i vecchi miti, senza saperne imporre di nuovi.
Il romanzo sarebbe persino piacevole se non fosse per le molte peripezie che Emilia deve affrontare, dove la cosa meno grave sembra essere una sbronza per aver mangiato troppe mele fermentate. Purtroppo, i balli e gli esercizi che tanto divertono il lettore e che vengono descritti come la bravura di quest’elefantessa sono proprio ciò che non possiamo più tollerare nel 2018. In definitiva, a mio avviso personale, se cercate freschezza e ironia, potete leggere “L’anno della lepre” e “Piccoli suicidi tra amici”, dello stesso autore, caratterizzati da uno stile brillante e ancora pieno di argomenti di attualità. “Emilia l’elefante”, invece, non è altro che una ripetizione sgradevole e inutile.
È un peccato dover annoverare una piccola, ma cocente delusione nel mio grande amore per Paasilinna.
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Linda Lercari
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