Home Poesia “Carte nel buio”, l’ultima raccolta poetica di Michele Nigro

    “Carte nel buio”, l’ultima raccolta poetica di Michele Nigro

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    Nigro
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    Michele Nigro con questo bel libro è giunto a mio avviso all’apice della sua evoluzione poetica. Ci vorrà molto lavoro e molto tempo prima di superare il livello di queste poesie. Questa è una raccolta che non è passata inosservata e ha avuto svariati consensi, ma non abbastanza: meritava molta più attenzione da parte degli addetti ai lavori. Molto probabilmente ciò è dovuto quasi esclusivamente al fatto che non è stata pubblicata da un grande editore. Quindi l’unico motivo per cui non si è ancora dato a Nigro quel che è di Nigro è puramente per un discorso editoriale e di legittimazione culturale. Non credo per altro. Proprio non lo credo. È un lavoro molto pregevole, che vi consiglio vivamente di leggere. Però vi avverto: è una poesia complessa (per chi non è abituato alla buona poesia) che va letta e riletta per apprezzare veramente l’ottima fattura e le verità di questi versi. Se siete avvezzi agli influencer che si improvvisano maldestramente poeti, se cercate cosettine ovvie e strappalacrime, non leggetela: vi avverto subito; perdereste tempo e rimarreste insoddisfatti. Se siete veramente amanti della poesia e cercate quel che di buono offre oggi la poesia contemporanea italiana, questo è un libro che fa per voi. Il grande punto di forza del poeta è l’aver assimilato tutta la grande poesia degli ultimi secoli e al contempo di saper procedere autonomamente, essendo originale senza ricercare l’originalità e l’effetto della novità a tutti i costi. L’io è equilibrato, non egoriferito, né troppo residuale; la postura autoriale non risente di minimalismo, né di massimalismo esistenziale. C’è introspezione, ma il poeta è anche un acuto osservatore/registratore degli stimoli esterni, delle voci del mondo. È un’opera della vita e sulla morte, sulla constatazione che la vita è un crudo impasto di vita e morte. Ma l’autore oggettiva Eros e Thanatos, astraendosi per quanto umanamente possibile dalle cosiddette pulsioni di vita e di morte. Non c’è traccia di cupio dissolvi, di nichilismo autodistruttivo, né di titanismo o vitalismo che sfociano nell’irrazionalismo. Questi bei versi mi hanno accompagnato in questi giorni in cui mio padre stava in ospedale, luogo di morte e di patimento, quest’ultimo inteso leopardianamente, e mi hanno fatto riflettere. Il poeta non a caso ha dedicato questo libro alla madre e l’assenza fisica e la presenza nella memoria dei genitori è struttura portante di questa raccolta. Il poeta inoltre cerca di mettere ordine nel disordine del mondo, ben sapendo che il mondo è diventato irrappresentabile, assurdo e a volte incomprensibile. Ma è un razionalismo consapevole della frenetica e convulsa molteplicità fenomenica e dei limiti empirici e cognitivi di noi tutti esseri umani. In queste belle poesie si passa dal particolare all’universale: le assenze e le presenze, i lutti, le amarezze, il dolore esistenziale qui descritte magistralmente toccano a tutti, prima o poi, fanno parte della vita di ognuno. Ma questa raccolta, caratterizzata dalla coerenza esterna, polisemica ma non pluristilistica, è anche intrisa di ironia e autoironia. Non c’è traccia di mancanza di consapevolezza, né di epigonismo, di manierismo, seppur l’autore rimanga ancorato saldamente e saggiamente alla tradizione (si veda ad esempio il riecheggiare in sottofondo di Fortini e Brecht, l’influsso debole e forse inconscio di Giudici senza il suo grigiore esistenziale fantozziano, la polimetria sapiente dei versi, l’uso delle allitterazioni, dei simbolismi, delle figure retoriche). Si nota che questa raccolta è stata pensata e ripensata, che è stata corretta e ricorretta, che ha subito tagli e aggiunte, che è frutto di una cesellatura faticosa e molto paziente, che c’è dietro tanto labor limae. Ma in cosa consiste la grande originalità di quest’opera? Nel raggiungimento di uno sperimentalismo lirico o di un lirismo sperimentale (scegliete voi il termine). Come scrive Nigro: “Perché questo titolo? Non si tratta di una raccolta sul Buio e sulla Luce, sulla lotta tra il Male e il Bene; non è una raccolta manichea. Carte nel buio perché ho tentato, seguendo un certo istinto di sopravvivenza, di portare luce innanzitutto nella mia oscurità che è poi l’oscurità nel mondo (del mondo), in questo nostro vagare che è vita”. Ecco allora in queste poesie l’apertura del varco di Montale, la radura heideggeriana, che si alternano e si mischiano all’ombra della luce di Battiato: insomma il tentativo di farsi luce e di fare luce tra il caos, tra le tenebre, che talvolta ci sovrastano. Infine non si possono capire bene queste belle poesie senza sapere che per Nigro la poesia è un momento di grande elevazione spirituale, considerando la poesia come preghiera, e allo stesso modo senza sapere che per il poeta bisogna diffidare della faciloneria, della semplificazione, della banalizzazione, dovute alla rimasticatura continua delle cose. Bisogna sempre tener presente che la sua poesia è un corpo a corpo continuo contro la superficialità, il vuoto, la stupidità dei giorni nostri. In questa raccolta e per il momento la battaglia (non la guerra) è vinta.

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