Trasformare la rabbia con la CNV di Rosenberg
Nella Comunicazione Nonviolenta, sappiamo quanto sia importante riconoscere le proprie emozioni, così come quelle degli altri e ciò che di vivo c’è in loro. Capire i bisogni e saperli condividere in modo corretto, oltre a entrare in empatia con l’altro comprendendo i suoi bisogni, facilita la costruzione di un ponte tra le due energie interne attraverso l’amore e la comprensione.
Le emozioni sono un campo delicato; avere una buona conoscenza di sé stessi ci aiuta nell’applicazione del metodo ideato da Rosenberg per comunicare senza violenza. Non serve soltanto questo, ma è necessario anche disporre di un linguaggio ricco per riuscire a esprimere al meglio i nostri sentimenti e bisogni, poiché è importante non solo essere consapevoli, ma anche farci ascoltare e capire dall’altro. Senza un linguaggio adeguato, l’interazione può risultare priva di comprensione e compassione.
Alcune emozioni vanno gestite, mentre altre, come la rabbia, che è un’emozione alla quale Rosenberg dedica uno studio particolare, vanno trasformate. In verità, potremmo dire che è un’affermazione scientifica, in quanto le emozioni sono risorse di energia e l’energia non si esaurisce, ma si trasforma. Rosenberg, in questo suo studio, ci insegna come trasformare la rabbia.
Le emozioni negative non vanno bloccate; bisogna sentirle e viverle cercando di comprenderle a fondo. La rabbia, per Rosenberg, ha come sottofondo un pensiero normalmente giudicante sulla persona su cui poi molte volte manifestiamo la nostra rabbia. Jung disse: “Conoscere la propria oscurità è il metodo migliore per affrontare le tenebre delle altre persone.” Anche in questa frase c’è un trasfondo di verità che richiama l’auto-consapevolezza e la conseguente empatia.
Ci sono molti concetti di base. Innanzitutto, sarebbe opportuno partire con una certezza secondo il pensiero di Rosenberg: non sarà mai l’altra persona a farci arrabbiare; siamo noi che ci arrabbiamo. Egli approfondisce questa idea spiegando la differenza tra la causa e lo stimolo della rabbia. In effetti, riceviamo dall’esterno uno stimolo, ma è poi la nostra interpretazione che rende lo stesso comportamento un veicolo per un nostro sentimento. Ci arrabbiamo perché un tale comportamento ci provoca immediatamente un pensiero (giudicante) su quella persona. La persona non causa la nostra rabbia, ma il suo agire in un certo modo può stimolarla, a seconda del nostro controllo sui propri pensieri.
Rosenberg ci invita, quando ci sentiamo arrabbiati, a chiederci che cosa stiamo pensando e dicendo a noi stessi in quel momento in cui sentiamo la rabbia aumentare. Potremmo renderci conto che la nostra rabbia aumenta quanto più lasciamo liberi i nostri pensieri giudicanti sull’altro, molte volte non riferendoci soltanto ai comportamenti, ma persino mettendo delle vere e proprie etichette sulla persona, per esempio, razzista, insensibile, cattivo, ecc. Fondamentalmente, anche dietro queste etichette, c’è uno sfondo dei nostri bisogni non soddisfatti, e di questa insoddisfazione diamo colpa all’altra persona in qualche maniera.
Secondo Rosenberg, di fronte agli stimoli che portano alla rabbia, potremmo reagire in quattro diverse forme: prendendo lo stimolo come un’offesa personale, usandolo come un modo per riflettere sui nostri bisogni, entrando in empatia cercando di capire i bisogni dell’altro o dando per certo che l’altro abbia sbagliato comportandosi in un certo modo.
Scoprire che le prime tre interpretazioni del comportamento non ci provocherebbero rabbia, ma altre emozioni come un senso di tristezza, umiliazione, paura o comprensione, e che solo l’ultima interpretazione, quella in cui scegliamo di attivare pensieri giudicanti e moralistici rispetto all’altra persona, è quella che farebbe scatenare la rabbia, è una scoperta bellissima.
Essa ci insegna che, se riuscissimo a tenere lontano il giudizio e non avessimo la presunzione di voler imporre il nostro modo di pensare agli altri, ma cercassimo di comprendere noi stessi e l’altro, non ci sarebbe la negazione, ma la trasformazione dell’emozione in un sentimento più gestibile e meno pericoloso anche nei confronti degli altri.
Per farlo in modo quasi automatico ci vuole tempo e pratica. È importante sapere che, quando eliminiamo il giudizio e diamo luogo all’ascolto dei nostri bisogni, entrando in empatia con i bisogni dell’altro e riuscendo a connetterci con l’energia dell’altro usando anche un linguaggio appropriato e parlando dal cuore, la rabbia è sempre trasformata, ma non eliminata. Questo è importante perché nessuna emozione dovrebbe mai essere soffocata, ma gestita in modo tale da poter essere espressa in modo sano e funzionale.
La rabbia non va repressa o negata perché potrebbe poi essere espressa in modo esplosivo e disfunzionale; va gestita. In alcune culture si educa alla repressione della rabbia, che diventa uno strumento di oppressione, facendo sì che si tolleri passivamente qualsiasi cosa. Allo stesso modo, non va sfogata come dicono alcuni, colpendo un cuscino, urlando, minacciando o aggredendo verbalmente o fisicamente qualcuno, perché così la rabbia si esprime in modo superficiale: si esprime di più, sì, ma a volte in modo pericoloso per sé stessi o per gli altri. Come scrive Rosenberg, la rabbia è come la spia nel cruscotto dell’auto: non va spenta o ignorata, ma bisogna fermarsi a capire quale bisogno ci stia cercando di comunicare quando si accende.
La CNV funziona anche se usata da una sola delle parti, a prescindere da come comunica l’altra parte. Per gestire (trasformare) la rabbia bisogna essere innanzitutto consapevoli che non ci fa arrabbiare quello che gli altri fanno, ma è dentro di noi e riguarda il modo in cui reagiamo. Distinguere stimolo da causa. Avere chiarezza su ciò che ha stimolato la rabbia senza mescolare giudizi o valutazioni. Poi dovremmo diventare consapevoli che la vera causa della rabbia è la particolare valutazione che diamo di ciò che è stato fatto. La valutazione è scollegata dalla vita se non ci colleghiamo ai nostri o agli altrui bisogni, ma pensiamo alle altre persone come cattive o colpevoli.
Frequentemente, come già accennato, ci risulta difficile distinguere lo stimolo dalla causa della nostra rabbia, credendo che un comportamento determinato dell’altro sia causa della nostra rabbia e non semplicemente uno stimolo. È qui che la CNV ci aiuta a capire che la causa dei nostri sentimenti non può mai essere il comportamento dell’altro, ma la nostra interpretazione. Rosenberg ci invita a riflettere su questa frase quando ci accorgiamo di provare rabbia: “Mi sento arrabbiato perché sto dicendo a me stesso che l’altra persona sta sbagliando quando si comporta in un certo modo.”
Questo è il modo di non colpevolizzare l’altra persona, responsabilizzandoci noi nel processo di cercare di trasmutare quella rabbia in tristezza, delusione o qualsiasi altro tipo di emozione che ci risulti più semplice poi comunicare all’altra persona, favorendo l’uscita dei bisogni di entrambi, le proprie richieste espresse in modo chiaro e funzionale, e l’ascolto e l’empatia verso le necessità e i sentimenti dell’altra persona.
In questo modo possiamo arrivare più semplicemente a risolvere il conflitto, con un’energia costruttiva e nonviolenta, esprimendo ugualmente la nostra rabbia, solo che usando il sentimento che c’è più in profondità. Nell’espressione della rabbia immediata e impulsiva, esiste una maggiore probabilità che i nostri bisogni non solo non vengano ascoltati e soddisfatti, ma che diamo un input sufficiente a produrre una risposta difensiva dall’altra persona, e in occasioni anche di chiusura alla risoluzione pacifica e civile del conflitto.
A tale proposito, la CNV offre strumenti per esprimere i propri bisogni in modo assertivo, non aggressivo. Rosenberg incoraggia a trasformare la rabbia in richieste positive e concrete, piuttosto che in accuse o aggressioni. Questo approccio promuove la risoluzione pacifica dei conflitti.
Evidentemente, la rabbia non la proviamo solo noi, ma anche gli altri, che molte volte possono esprimerla in modi poco funzionali. Gestire la rabbia altrui secondo la CNV implica un approccio empatico che inizia da un buon ascolto, che metta la persona a proprio agio nel senso di sentirsi ascoltata. Individuare i sentimenti alla base, quindi validare, accettare e legittimare l’emozione provata dall’altra persona (le emozioni non sono mai sbagliate, mentre il comportamento può esserlo) e cercare di capire con l’altra persona i bisogni insoddisfatti sottostanti alla rabbia. Così, l’attenzione che prima era centrata sul comportamento che ha stimolato la rabbia ora riusciamo a porla sui bisogni non soddisfatti della persona.
Ovviamente, quando si è consapevoli del processo, si evita di mettersi sulla difensiva e così si può più facilmente essere di supporto all’altra persona attraverso un dialogo costruttivo (che si struttura sulla base della CNV con lo schema osservazione-sentimento-bisogno-richiesta). Quando riusciamo a farlo, la rabbia dovrebbe disinnescarsi perché la comunicazione dal cuore diventa più profonda e più tendente alla risoluzione del conflitto.
La pratica della CNV ci aiuta a diventare più consapevoli dei nostri sentimenti e bisogni, a esprimerli in modo assertivo e a comprendere meglio quelli degli altri, promuovendo così una comunicazione migliore, in cui le due parti sono comprensive e compassionevoli. Come disse quel grande filosofo stoico, Epitteto: “Non sono le cose che ci accadono a turbarci, ma il nostro giudizio su di esse.” Trasformare l’energia della rabbia, senza soffocarla, in un certo modo vuol dire trasformare il giudizio in comprensione e dialogo costruttivo.
Karla Lorena Castillo Rodriguez
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